LA RELAZIONE COME CURA
A chi passa dalla sede del GRT a Milano può capitare di incontrare Gianluca Morlino, vice-presidente del GRT, presidente e fondatore della cooperativa Compagnia Itinerante, partner dell’Organizzazione per i progetti di salute mentale, disabilità cognitiva e minori in difficoltà psico-sociale. Gianluca non è quasi mai da solo, a volte è con Aldo, a volte con Andrea o Renato, e sembra fare attività ordinarie come bere un caffè o una bibita, ma poi scopri che sta svolgendo un lavoro di cura e accompagnamento e, su questo, gli abbiamo fatto delle domande.
Quanto conta la relazione nei vostri interventi psico-sociali ed educativi?
Il lavoro che facciamo è un lavoro di relazione e questo implica prendere in carico l’interezza della persona in quanto mediatori tra la persona e il mondo circostante. L’intervento è declinato soprattutto nel contesto di vita e quindi anche nella “cultura di appartenenza della persona”, che è un approccio condiviso con GRT anche all’estero e che articola i propri interventi partendo dalla centralità della persona e della sua cultura. L’intervento si compone quindi di due aspetti: la relazione con la persona e l’articolazione della sua riabilitazione nel territorio.
Possiamo dire che ogni intervento, ovunque, non può che essere transculturale, ovvero calato e adattato alla cultura in cui si opera e a quella dei soggetti destinatari dell’intervento?
Assolutamente sì! Sia la cura, che la patologia, sono connesse alla cultura che circonda la persona, es. la storia della sua famiglia, le migrazioni etc. , e la relazione diventa lo strumento educativo di intervento. Il lavoro educativo deve tenere conto dell’ambiente in cui vive l’utente per riuscire a facilitare il suo rapporto con il mondo esterno, in modo da rendere il soggetto sempre più autonomo e incluso nel suo contesto di vita. Come dicevo, il nostro compito è anche quello di mediare con l’esterno per rendere le esperienze di incontro tra la persona che stiamo seguendo e il mondo che la circonda il più positive possibile.
Come intercettare le esigenze delle persona e le sue potenzialità, mettendosi da parte come educatore?
Sempre con la relazione, con la conoscenza della persona e dei valori fondamentali che la tengono in piedi. E’ necessario essere consapevoli non solo di quali siano i suoi bisogni, ma anche che alcuni interventi corretti nella teoria, non si rivelano tali nella pratica e per quel caso specifico. Ogni intervento non può che essere personalizzato e anche gli obiettivi sono in relazione alle possibilità, alle capacità, ai limiti e alle potenzialità proprie della persona. Il confine e l’equilibrio lo individui attraverso la relazione che instauri con l’altro. Su questo, aiuta molto il lavoro di rete, il confronto e l’alleanza anche con gli altri operatori che, con diverse professionalità, operano sullo stesso caso.
Potremmo dire quindi che non esiste un concetto generale di salute, perché questa esiste sempre in relazione a un contesto specifico?
Sì, l’utente deve essere sempre messo al centro. Prima di tutto, devi partire dalla relazione che crea un rapporto di fiducia e da questo crei il contorno.
Quanto la relazione con l’altro fa cambiare anche l’operatore?
Sicuramente la relazione ci consente di metterci in discussione e anche di decostruire e ricostruire i nostri immaginari.
Sicuramente la relazione ci consente di metterci in discussione e anche di decostruire e ricostruire i nostri immaginari.
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