Intervista a Camilla Gamba sul cambiamento climatico e la salute mentale

La lente transculturale per leggere gli effetti del cambiamento climatico sulla salute mentale e per trovare risposte di cura.

Intervista a Camilla Gamba, psicologa, psicoterapeuta e una delle docenti del corso “Cambiamento climatico e salute mentale” organizzato da GRT per il 14/15/16 novembre 2024.

Che cosa si intende per eco-ansia?
Se vogliamo usarla in modo colloquiale, è un’espressione con la quale ci si riferisce a quel senso di angoscia, ansia, smarrimento, paura percepito di fronte all’andamento del mondo e, in particolare, rispetto alla crisi ecologica. La si usa per parlare di diversi aspetti – dal degrado ambientale, alla perdita di biodiversità, all’estinzione di svariate specie. E sempre più spesso si parla di eco-ansia come sinonimo di ansia climatica, che si riferisce in particolare al disagio legato ai fenomeni meteorologi estremi – ondate di calore, alluvioni, scioglimento dei ghiacciai. Tutti fenomeni che minacciano la possibilità di sopravvivenza di noi come individui, ma anche della nostra specie (e non solo).

Eco-ansia è un termine generale, con il quale si sta tentando di cogliere un sentimento diffuso. Da psicologi e psicoterapeuti, nel momento in cui si usa la parola “ansia”, vogliamo usarla con cognizione e una delle grandi domande di questi tempi per chi si occupa di salute mentale è se è opportuno usare “ansia” come termine diagnostico per descrivere questo tipo di vissuto. Ci sono tante scuole di pensiero che non sono necessariamente in contrapposizione.
Secondo una scuola di pensiero, se una persona porta la sua ansia rispetto al cambiamento climatico, la si deve considerare una reazione assolutamente sana. Il problema è reale e l’ansia è quell’emozione che ci porta anche all’azione. Estremizzando possiamo dire: più siamo ansiosi più saremo portati all’azione. Un’altra scuola di pensiero sostiene che comunque l’ansia è un disagio e noi siamo operatori della salute mentale e quindi dobbiamo prendercene cura. Un’ansia cronica che non viene gestita, rischia di portare a problemi più grandi o sovrapporsi a problemi già esistenti. Ci sono forme di ansia che già di per sé bloccano la persona e possono portare alla paralisi, oppure al diniego del problema.

Perché si parla di eco-ansia e non di eco-paura?
Nel linguaggio comune e nei media si parla di eco-ansia, in realtà nel mondo della ricerca e poi della clinica si parla di eco-emozioni: eco-rabbia, eco-lutto, eco-colpa, eco-speranza perché poi ci sono anche le emozioni positive. Spesso, infatti, lo stesso soggetto può vivere più emozioni, a volte anche apparentemente contrastanti tra loro.

Quali sono, guardandoci intorno, degli eventi dell’attualità che incidono sulla salute mentale?
Tutte e tutti in un certo senso! Mi viene in mente tutta una serie di schemi che vengono proposti da chi studia questi fenomeni con alcune differenziazioni. Per esempio, c’è chi prova a fare la differenza tra “impatto diretto” o “impatto indiretto”. Faccio un esempio: se io perdo la casa in una alluvione, questo mi provoca un impatto di un certo tipo, diverso da quello, indiretto, che posso avere se per esempio vedo sui social tutti i giorni filmati sulla deforestazione in Brasile. Si parla di iperoggetto, nel senso che è tutto complesso e interconnesso. Per esempio, se parliamo di traffico, ho sia un impatto nell’immediato, perché per andare al lavoro ci metto un sacco di tempo, e in più questo genera stress; ma stiamo parlando anche dell’inquinamento atmosferico e acustico; stiamo parlando dell’asfalto delle strade che quando piove si allagano o d’estate aumentano la temperatura delle città; stiamo parlando dell’estrazione e uso di combustibili fossili che alimentano il cambiamento climatico…e poi il tema della produzione delle auto e delle materie prime per le batterie elettriche e l’impatto che questo ha su interi territori e comunità…e così via.. stiamo parlando, di fatto, di tutta una complessità di fenomeni che inevitabilmente impatta sulla nostra salute mentale.

Il corso che approccio adotterà? Che tipo di metodologia adotterete?
Siamo in quattro relatori con approcci diversi tra loro, che ci interessava fare interagire e mettere in connessione. Porteremo le ricerche principali che sono state fatte, anche perché, essendo un ambito abbastanza nuovo in Italia, ci teniamo a far capire che non è che ce lo stiamo inventando noi, adesso che va “di moda”. Si parla di ansia climatica da decenni e ci sono clinici e ricercatori che se ne occupano da tanto tempo. Ci teniamo a portare la scienza, i dati, le ricerche e anche le pratiche che ad oggi vengono utilizzate. Inoltre, porteremo casi clinici per dare una visione su come si manifestano gli impatti del cambiamento climatico nella stanza della terapia. Sarà un corso anche interattivo. Tutte e tutti siamo stati toccati in un modo o nell’altro dal fenomeno ecologico e climatico e quindi ci saranno spazi di riflessione e condivisione. Faremo anche una rilettura di tutti questi attraverso una lente transculturale per capire come intervenire da clinici.

A chi consiglieresti il corso?
A tutte le operatrici e gli operatori della salute mentale. E’ un tema sul quale in pochi sono preparati. Io, per esempio, ci sono arrivata “da paziente” e ho trovato accoglienza da parte di professionisti esperti che hanno preso la cosa in considerazione seriamente in termini esistenziali e di cura, ma non è per tutti così. Spesso purtroppo capita che chi porta questi vissuti in terapia non si sente capito e accolto a causa della mancata preparazione del clinico su questo tema.

– Da terapeuta è un tipo di richiesta che ricevi spesso?
Quando si impara a cogliere i segnali di distress climatico, si comincia a capire che è più frequente di quanto molti pensano. E’ interessante vedere come una tematica sulla quale si sta lavorando in terapia come, per esempio, il senso di colpa o di vergogna, poi prende forma anche in relazione al fenomeno climatico.

Qual è il senso di un corso di questo tipo all’interno di una realtà, come quella della Scuola di Psicoterapia di GRT che adotta un approccio transculturale?
Adottare una lente transculturale in questo momento storico per osservare ciò che ci sta succedendo intorno, penso possa avere molto senso. Dare senso è un’esigenza diffusa e quando cerchiamo di dare senso lo facciamo anche attingendo alle nostre “basi” culturali. Essendo quello del cambiamento climatico un fenomeno globale, ci stiamo appoggiando a riferimenti culturali diversi tra loro, per questo si parla di “biodiversità delle letture”. E ciò, oltre ad essere molto interessante, ci aiuta anche ad affrontare la sfida dei cambiamenti che inevitabilmente dovremo fare, sia per fare una transizione ecologica “scelta” come per esempio ridurre i consumi o mangiare meno carne o usare meno la macchina e, allo stesso tempo, ci saranno cambiamenti che non sceglieremo, ma arriveranno semplicemente e a cui per forza di cose ci dovremo adattare. Cambiamenti che si verificheranno e che ci faranno cambiare molto e anche molte delle nostre abitudini.

 

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