La Dr.ssa Paola Zaldera, Medico Chirurgo, Specialista in Tossicologia Medica e Criminologa Forense ha partecipato al corso di alta formazione per operatori socio-sanitari “L’approccio transculturale alla persona” organizzato dal GRT e ci ha raccontato la sua esperienza. Di seguito l’intervista.
Perché hai scelto di frequentare il corso di GRT?
Conosco GRT da oltre vent’anni, dai tempi in cui anch’io lavoravo in Somalia, e ho avuto quindi modo di apprezzare la serietà dell’impegno degli operatori e la capacità dell’organizzazione di implementare gli interventi nel rispetto delle risorse del territorio e della cultura delle popolazioni.
Quando ho visto il programma del corso «L’approccio transculturale alla persona» ho deciso immediatamente di iscrivermi: lavorando in carcere ero quotidianamente a contatto con una popolazione multietnica, della cui salute ero responsabile, e dovevo costantemente misurarmi con le differenti interpretazioni del concetto di salute e di cura, spesso fonte di gravi incomprensioni e comportamenti oppositivi. Non ci può essere collaborazione fra medico e paziente se non si crea un rapporto di fiducia in cui il paziente si senta rispettato e compreso in quelli che sono i fondamenti della sua cultura e i suoi valori, ma per comprendere bisogna anzitutto conoscere e ho deciso che quella del corso di GRT era l’occasione giusta per allargare i miei orizzonti.
Che cosa ti ha colpito durante le lezioni? Quali temi? Quali lezioni?
Parlando del corso in generale, ho molto apprezzato due aspetti. Innanzitutto il fatto che il corso fosse aperto a operatori di varie professionalità, scelta che ha portato ad un indubbio arricchimento del patrimonio personale di ognuno di noi, consentendoci la visione dello stesso quadro con altri occhi, altre formazioni, altri approcci. È stato uno scambio di esperienze prezioso.
In secondo luogo ho trovato ottimale la scelta didattica che per ognuno dei singoli paesi presi in esame (Bangladesh, Pakistan, Cina, tanto per fare alcuni esempi) fossero degli autoctoni ad esprimersi e ad illustrare il tipo di società, l’organizzazione familiare, la cultura della loro terra. Nello specifico invece, parlando ovviamente da medico, ho trovato ricchissima di spunti e di informazioni preziose la lezione del dottor Maranesi sul disagio psichico e gli psicofarmaci, nozioni che per me non erano ovviamente nuove ma che il Collega ha saputo schematizzare e inquadrare con precisione offrendomi un prezioso refresh delle mie conoscenze.
Splendida anche la giornata di formazione con la psicologa del Centro Minkowska di Parigi sul trauma in contesto di esilio, particolarmente funzionale a quella che era la mia attività. Molto interessante anche la giornata sul contesto culturale islamico, con il bell’intervento dell’imam che ha saputo offrire una panoramica dell’islam scevra da pregiudizi e rigidità.
Che cosa puoi dire di avere imparato?
Al di là delle molte, accurate e interessanti nozioni, direi che la cosa fondamentale che mi ha lasciato questo corso è la spinta a guardare le cose da molti punti di vista. Ognuno di noi tende a pensare che la cultura e i valori in cui è stato educato e cresciuto siano l’unica verità universale, ma finché ognuno resta arroccato sulle proprie posizioni non ci potrà mai essere una relazione sana e fonte di crescita con gli altri.
È qualcosa che avevo già sperimentato nella mia esperienza africana: in quel contesto, ero io con la mia visione del mondo ad essere fuori schema, tutto intorno a me parlava di altri valori, di un’altra concezione della vita. E mi ero resa conto già allora che le mie conoscenze e il mio sapere erano solo una parte del tutto e non certo la più importante. Ricordo in particolare una mattina in cui le donne di un villaggio mi avevano chiesto quanti cammelli avesse pagato mio marito per sposarmi. Quando avevo risposto che da noi non si compravano le mogli con i cammelli le donne mi avevano guardato con un misto di tenerezza e commiserazione: “Da voi le donne non valgono nemmeno un cammello?” sembrava dire il loro sguardo. Ecco, durante il corso con GRT ho imparato ancora meglio che nessuna cultura è al centro del mondo, che nessuno è in possesso della miglior chiave di lettura e che ogni idea, ogni tradizione merita rispetto. Soltanto sforzandoci di uscire dalle barriere dei nostri schemi mentali potremo incontrare veramente l’altro.
A chi e perché consiglieresti di fare il corso?
Consiglierei assolutamente il corso a tutti coloro che operano in contesti multietnici: operatori sociali, medici, infermieri, insegnanti e così via. Mi verrebbe da dire che un corso base dovrebbe diventare patrimonio comune della nostra società, che si avvia ad essere sempre più multietnica. Soltanto guardando senza pregiudizi a realtà diverse dalla nostra, ma soprattutto comprendendo cosa significhi in termini di sofferenza essere costretti ad abbandonare tutto dietro di sé, quale trauma sia lasciare le proprie origini e le proprie certezze per affrontare disarmati una realtà sconosciuta, soltanto allora potremo veramente pensare di creare una nuova società capace di armonizzare le differenze facendole diventare una ricchezza.
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Immagine di: Taras/Adobe Stock